Qualche giorno fa ho guardato per la terza volta il telefilm del 1972 di Luigi Comencini "Pinoccho"- un pupazzo di legno creato dalla penna di Carlo Collodi, agli estoni più noto come Buratino. Ho pensato che Benigni fosse coraggioso ad interpretare questa vecchia fiaba dopo l'insuperabile capolavoro di Comencini. La sua versione del 2002, che la critica liquidò come "un clichè con poca poesia" ,rimane uno dei film più insignificanti di Benigni.
L'opera di Comencini è piena di atmosfere indimenticabili eppure così quotidiane. Ambientato nell'Italia di fine 800,ci mostra un'Italia vera: povera e contraddittoria.Ineguagliabile Nino Manfredi(Geppetto) così come il Gatto e la Volpe (Franchi e Ingrassia),la Fata Turchina (Gina Lollobrigida) e il Giudice(Vittorio De Sica).
Quanti di noi hanno mai riflettuto sul vero messaggio del "Pinocchio", sulla "morale della favola"?
Comencini ci costringe a pensare. Se vuoi diventare l'essere vivente nel senso più alto del termine, devi imparare a distinguere tra il bene e il male usando la tua propria testa e coscienza senza dare ascolto a coloro che hanno per te la ricetta sempre pronta. Non l'obbedienza fine a se stessa, non la cieca sottomissione all'autorità bensì l'agire con consapevolezza. La libertà necessita di redini autoimposte in nome dell'unica autorità davanti al quale vale la pena di inchinarsi -L'Amore.
Comencini ha raccontato le avventure di Pinocchio attraverso situazioni surreali e incredibili nella loro normalità con l'aiuto di attori eccezionali, le musiche di Fiorenzo Carpi e nel simpatico dialetto toscano.
Siamo tutti un pò Pinocchio in cerca della propia libertà con i suoi limiti, del modo più giusto di stare nel mondo con la consapevolezza che da qualche parte c'è un amorevole Geppetto in attesa del nostro abbraccio.
Potrei allora mai perdere fiducia in questo grande popolo italiano nonostante abbia scelto di nuovo di dare ascolto al Gatto e alla Volpe?
lunedì 5 maggio 2008
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